19 maggio 2015

Italia

Ho visto Mia madre, l'ultimo film di Nanni Moretti. In pratica è una diagnosi sul nostro paese. La madre rappresenta in senso metaforico l'Italia, un paese scompensato dove la sinergia tra cuore e polmoni viene meno, come il rapporto tra operai ed imprenditore. Margherita Buy interpreta il ruolo della regista che gira un film in cui l'intento sociale nasconde in realtà la sua voglia di controllare e cercare di mettere a fuoco attraverso un'interpretazione l'incertezza che ci circonda. E man mano capisce che la gente comune arruolata a fare da comparsa è sempre di più fittizia, costruita dietro personaggi che appaiono sempre di più meno spontanei. Basta guardarsi attorno. Lei suggerisce una cosa molto bella a tutti i suoi protagonisti che può essere interpretata come uno stimolo a non perdere parte della propria sincerità: nella recitazione bisogna far sentire la presenza del personaggio che si interpreta, ma nello stesso tempo anche di quello che si è veramente nella realtà. Messaggio che ovviamente fa fatica ad essere compreso. Non perdiamoci, non dimentichiamoci del nostro passato. Impariamo a guardarci, ad essere noi stessi in tutto quello che facciamo. Margherita Buy è inquieta, ascolta la diagnosi infausta dei medici fatta nei confronti della madre negando a se stessa la realtà dei fatti perché non vuole  accettare la parola fine. Quel barlume di speranza sembra spegnersi nel suo film dove le parti in conflitto non riescono a trovare nessuna mediazione. Le persone intorno a lei sembrano essere rassegnate. Non reagiscono, la seguono durante le riprese del film in modo accondiscendente fino a farla irritare perché non le impediscono di sbagliare. Qui c'è un chiaro riferimento politico, o meglio, un consiglio a non lesinare di far notare quando chi ci sta guidando sta commettendo degli errori. 
Il fratello, interpretato da Nanni Moretti, vive assorto nelle sue problematiche come se fossero distaccate dalla realtà in cui viviamo. Lascia una posizione importate senza temere di non poter trovare più lavoro. Non mette in nessun modo in discussione il parere dei medici. Dice alla madre che bisogna andare in ospedale perché così è stato deciso. Interpreta il ruolo del personaggio che sembra già consapevole di come andranno le cose, appare essere serenamente rassegnato. La figlia di Margherita Buy rappresenta invece l'adolescente che va male in latino perché non ne capisce l'importanza. E chiede per l'appunto alla madre, in una di quelle classiche domande che ci siamo fatti tutti almeno una volta nella vita, a che cosa serva studiare il latino. Forse la risposta è da ricercarsi nel rapporto che questa ragazza ritrova con la nonna morente, dai suoi alunni passati stimata  come una carissima professoressa di italiano e latino. Nel farsi aiutare proprio da lei nello studio del latino viene mantenuto quel filo narrativo che ci contraddistingue come paese. Il latino è la lingua della nostra storia. Ci sarebbero strumenti più validi per fare esercizi di logica. Il latino può aiutare, ma fondamentalmente ci mantiene in rapporto con quello da cui veniamo, con quello che siamo. 
A tutti loro si contrappone l'attore americano, interpretato magistralmente da John Turturro. Sembra essere l'esatto opposto di quello che noi siamo. È un personaggio pieno di vitalità, che appare  sicuro dei propri mezzi tanto da snobbare l'interprete personale e da far credere di aver avuto un glorioso passato da protagonista in un film di Kubrick. Eppure risulta essere fortemente ostacolato da quella che sembra essere una forma di malattia che compromette fortemente la memoria. Ma non demorde, mette al bando qualsiasi tipo di paranoia e continua a  recitare a modo suo fino ad entrare in collisione con la regista stessa. Rappresenta un mondo che ha la forza di reagire, che non ha un passato a cui troppo guardare indietro e che vuole affermarsi pienamente nel presente in cui viviamo. Alla fine appare come un personaggio superficiale e quasi infelice ai nostri occhi. In noi c'è lo sguardo di Margherita Buy, di chi sa che c'è qualcosa di molto più profondo, di chi ha voglia di darsi delle risposte. Il finale a scapito di un pessimismo di fondo che aleggia in tutto il film è uno stimolo a guardare al domani e a farlo con la consapevolezza di avere la responsabilità di dover preservare la ricchezza  culturale di cui siamo diretti testimoni. Questo è il compitino oggi giorno difficile, ma indiscutibilmente bello di noi italiani. 

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