Io
sto con Caterina perché quando dice "Io sono viva grazie anche
agli animali che sono stati sacrificati" presuppone un profondo
rispetto per gli esseri utilizzati affinché si possa trovare una
cura migliore per le sue malattie. Non lo facciamo più, almeno qui
da noi se non più o meno consapevolmente in qualche tradizione
culinaria, il sacrificio per propiziarci la benevolenza divina. Su
nessun altare immoliamo delle povere vittime guardando speranzosi il
cielo. Abbiamo capito e qualcuno ce l'ha insegnato che nel rapporto
con dio ci sono altre vie di comunicazione, più dirette, più
profonde, più umane. Il sacrificio è l'extrema ratio di chi si
sente inerme di fronte ad un inesorabile destino. Ma se nell'ambito
cristiano nella fede abbiamo trovato il dono della grazia divina, il
punto massimo a cui può ambire un credente, in quello medico ci
troviamo ancora di fronte ad una ragazza di 25 anni che con un
respiratore in faccia vuol parlarci prima di tutto della sua
sofferenza che scandisce ogni giornata della sua vita, negli anni più
belli. È un grido di dolore fattoci pervenire in tutta la sua
delicatezza da chi non può lasciarsi andare nemmeno per un giorno
come spesso noi della nostra generazione abbiamo la libertà di
fare.
La malattia ti accompagna sempre, a Natale e in vacanza. Caterina lo sa e ce lo dice mentre stiamo ancora scartando qualche pacchetto con dentro l'ultimo ritrovato tecnologico per connetterci in ogni dove al resto del mondo quasi a voler amplificare il nostro essere. E mentre lo facciamo Caterina ci ricorda tutti i nostri limiti, il nostro corpo, la nostra carne. Ci ricorda che ogni giorno è importante perché dobbiamo custodire il dono più prezioso che abbiamo ricevuto: la nostra vita. Lei lo fa tra medicinali e respiratori, tra sofferenza e dolore, ringraziando tutti, i medici che la curano e gli animali che vengono sacrificati per darle un futuro. Ce lo sentiamo, perché nonostante tutto siamo ancora fiduciosi delle nostre capacità, che un domani sull'altare della ricerca scientifica non ci sarà più bisogno di immolare nessuna creatura. Sappiamo che sforzi e passi avanti non sempre sono facili soprattutto perché nelle nostre azioni a scapito del creato non siamo più in grado di sostenere la nostra onnipotenza senza una parvenza di dubbio, preambolo di un profondo senso di colpa. Caterina ci ricorda i nostri limiti, la nostra finitezza, sia fisica, la malattia che ci prende il corpo nonostante i nostri anni, che morale per chi vuole estremizzare la battaglia contro la sperimentazione animale. E noi, son sicuro di poter parlare per tutti, alla fine, tra qualche dibattito, qualche litigio, qualche presa di posizione, nel nostro profondo vogliamo innanzi tutto una cosa: che lei ce la faccia.
La malattia ti accompagna sempre, a Natale e in vacanza. Caterina lo sa e ce lo dice mentre stiamo ancora scartando qualche pacchetto con dentro l'ultimo ritrovato tecnologico per connetterci in ogni dove al resto del mondo quasi a voler amplificare il nostro essere. E mentre lo facciamo Caterina ci ricorda tutti i nostri limiti, il nostro corpo, la nostra carne. Ci ricorda che ogni giorno è importante perché dobbiamo custodire il dono più prezioso che abbiamo ricevuto: la nostra vita. Lei lo fa tra medicinali e respiratori, tra sofferenza e dolore, ringraziando tutti, i medici che la curano e gli animali che vengono sacrificati per darle un futuro. Ce lo sentiamo, perché nonostante tutto siamo ancora fiduciosi delle nostre capacità, che un domani sull'altare della ricerca scientifica non ci sarà più bisogno di immolare nessuna creatura. Sappiamo che sforzi e passi avanti non sempre sono facili soprattutto perché nelle nostre azioni a scapito del creato non siamo più in grado di sostenere la nostra onnipotenza senza una parvenza di dubbio, preambolo di un profondo senso di colpa. Caterina ci ricorda i nostri limiti, la nostra finitezza, sia fisica, la malattia che ci prende il corpo nonostante i nostri anni, che morale per chi vuole estremizzare la battaglia contro la sperimentazione animale. E noi, son sicuro di poter parlare per tutti, alla fine, tra qualche dibattito, qualche litigio, qualche presa di posizione, nel nostro profondo vogliamo innanzi tutto una cosa: che lei ce la faccia.
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