07 gennaio 2010

GLI EMODERIVATI


Se negli anni ottanta i paninari trasmettevano per lo meno un senso di abbondanza e benessere, i cosidetti "emo" punk di oggi sembrano rappresentarne la loro antitesi. Quest'ultimo fenomeno adolescenziale appare come lo specchio di una società che ha smesso di sognare le macchine volanti e che non gli rimane che nient'altro di guardare il proprio sangue scorrere nelle vene. Si tratta dell'ennesima forma che ogni volta si ripete, ormai da generazione in generazione, definendosi con nuovi dettagli, ma rappresentando sempre un unico intento: quello di volersi differenziare dai propri genitori. Ma se una volta era un modo per prendersi spazio, adesso diventa un modo per anichilire tutte le ambizioni che si potrebbero avere riguardo al proprio futuro. Gli "emo" stanno fermi, sempre sulle stesse note. Vogliono cogliere tutta l'intensità che ci sta dentro un'emozione perché non potendo andare da nessuna parte, ascoltano per lo meno se stessi, esplorano negli aspetti più fini il loro mondo interiore. È un fenomeno di controreazione verso la frenesia del mondo. È la conseguenza di un sistema che ci ha portato a fare il passo più lungo della gamba. Qualcosa è mancato, forse soltanto perché l'abbiamo perso per strada. Gli "emo" ci fanno vedere che abbiamo creato dei morti, dei buoni a nulla che non sapranno fare niente di più rispetto alle generazioni precedenti, invasate dalle guerre vinte e vissute e soprattutto dai boom del progresso. Perché alla fine chi è viziato non può neppure lamentarsi. Non c'è padre che non abbia rinfacciato al proprio figlio la fortuna di poter avere opportunità che una volta non si potevano neppure sognare. Allora ogni nuovo desiderio non può che essere eccessivo e quindi da soffocare. Se per Anna Freud la depressione era un termine eccessivo da usare con i bambini, oggi abbiamo sicuramente saputo anticipare i tempi con la quale si radica il senso di colpa. Gli adolescenti di oggi sono depressi perché di fronte ad un'età media che corre verso i cent'anni il tempo dell'attesa per ritagliarsi un ruolo rende superflui. Ma forse siamo soltanto di fronte ad un modo per comunicare il proprio bisogno di affettività. Si è perso il calore domestico. Le famiglie sono "frantumate" dagli oggetti che possiedono. I toni aggressivi e stizziti seguono lo stesso ritmo della frenesia del tempo. Le emozioni si possono spegnere ed accendere, con il tasto di un telecomando, non di certo interiorizzare nella formazione di una propria personalità. Non resta che contornarsi gli occhi per evidenziare una sensibilità che non viene più colta, non resta che mettersi dei grandi polsini ai polsi come se fossero delle manette. Sembrano dirci che ormai hanno accettato la loro prigione, la loro emarginazione da una vita "capitalista", dell'usa e getta, del progresso che va avanti dimenticandosi l'uomo inquanto essere naturale.       

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