
Ci sono genitori (o società) che danno troppo ai propri figli, ma non quello che è necessario. Si crea così il paradosso di un insieme pieno in cui manca qualcosa. Vengono infatti a mancare quegli spazi vuoti in cui un individuo cerca di realizzarsi. Ci si ritrova nella situazione di dover sempre assorbire e non poter mai dare. Nell'ambiente in cui si vive avviene sempre una relazione a senso unico dove i figli si riduco ad essere strumenti d'assemblaggio dei desiderata genitoriali. C'è un prodotto finale da realizzare secondo una serie di istruzioni che non lasciano spazio alla propria curiosità, alla voglia di realizzarsi come individui autonomi e indipendenti. La propria crescita diventa meccanica, realizzata da ciò che i genitori decidono di attaccarci su. Per questo motivo, di fronte ad un ambiente esterno saturato dalle premure genitoriali, si cerca di ritrovare degli spazi di libertà all'interno del proprio corpo. Non ci si deve sentire pieni, ma leggeri fino a sentirsi spostare dal vento. Il cibo diventa lo strumento che permette di riempire, svuotare e controllare la propria crescita interiore. Avviene una controreazione rispetto a quello che non può essere fatto esteriormente. La propria immagine diventa puramente interiore, tanto è vero che un paziente anoressico sembra non ascoltare chi, da fuori, lo avverte sulla propria eccessiva magrezza. Anzi, satura ancora di più l'ambiente, aggravando ulteriormente la questione di fondo. Molte patologie alimentari si instaurano per il bisogno di ritrovare una posizione di potere nei confronti di se stessi attraverso spazi di più facile accesso, più primitivi e ancestrali. Ma non avviene una contrapposizione conflittuale, le figure genitoriali non vengono messe in discusione. L'anoressia e la bulimia non sono disturbi oppositivi provocatori. Sono la gestione di uno spazio interno trovato libero.
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