
Sembrava il secolo in cui si potesse fermare la storia. Opere memorabili per mano di talentosi artisti rendevano attuali i fasti storici del passato alla quale dover fare riferimento. La pittura era un'istantanea che doveva narrare gli alti valori di una umanità che sembrava aver preso coscienza della sua grandezza. Poter prendere il passato per farlo presente, costruendoci sopra il proprio futuro, è senz'altro un segno di potere che non a caso è stato un comun denominatore delle più recenti dittature. Pittori come il maestro David con opere come il giuramento degli Orazi danno vita al neoclassicismo. Diventerà poi il pittore di Napoleone. Ma ad un certo punto qualcosa si è rotto. La pittura è sembrata soffocarsi dalla propria razionalità. Forse anche per l'arrivo della fotografia è cominciato a serpeggiare un fastidioso senso di inutilità. Fatto sta che tutto è diventato ottocentesco: Vecchio, stantio, inutile, ripetitivo. L'uomo ha cominciato a guardarsi dentro, nel suo profondo. Ha cominciato ad ascoltare il suo respiro, le sue sensazioni senza più negarle. Sì è iniziato a cogliere l'attimo di un sole che sorge. A sentire l'ispirazione artistica sotto una brezza mattutina. L'arte non si è più occupata di descrivere la storia, ma di anticiparla tirando fuori dalle viscere dell'uomo il suo sentire più profondo. Autori come Van gogh ad esempio ci dicono come sono con pennellate di una emotività irripetibile.
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