
Pensiamo ad un paziente in coma con lesioni cerebrali. L'esito finale di questa condizione è prevedibile soltanto con la diagnosi di morte cerebrale. Nessun altro insieme di segni clinici può essere considerato in grado di dare una certezza prognostica sull'esito infausto del coma. Tuttavia le probabilità che ci possa essere un ripristino delle facoltà mentali complete in un paziente in stato di coma vegetativo, sono praticamente nulle. Ma la morte corticale, non è la morte encefalica. La medicina moderna considera un paziente con diagnosi di morte encefalica accertata, un donatore che può essere sottoposto all'espianto degli organi al fine di effettuare trapianti per la cura di altri individui. Da qui si può concludere che dal punto di vista medico-scientifico la morte di un individuo è correlabile alla sua morte cerebrale. La vita ha come termine la fine di tutte le funzioni cerebrali. La diagnosi di morte cerebrale indica una completa e irreversibile distruzione dell'encefalo nel suo complesso. In particolare i criteri diagnostici di riferimento sono: l'assenza di flusso ematico cerebrale, l'assenza di attività riflessa, l'assenza di attività respiratoria spontanea. L'accertamento della morte encefalica avviene attraverso criteri clinico-strumentali. Si tratta di dare conferma ai requisiti clinici contemplati nella diagnosi di morte encefalica. I criteri utilizzati sono dunque neurologici e documentano la persistenza dello stato di morte in un periodo di osservazione. A volte subentra la necessità di fare ulteriori indagini strumentali di flusso cerebrale in situazioni considerate particolari. Ci sono fattori concomitanti che possono influire sul quadro clinico complessivo ovvero sulla diagnosi di morte cerebrale. Questi sono l'utilizzo di farmaci depressori del sistema nervoso centrale, una condizione di ipotermia, alterazioni endocrino metaboliche, un' ipotensione sistemica pregressa. Ad esempio l'ipotermia può alterare un quadro encefalografico. Per questo motivo una eventuale rianimazione non deve concludersi prima che la temperatura corporea non abbia raggiunto in modo stabile i 32 gradi. Le metodiche utilizzate per l'accertamento dell'assenza di flusso cerebrale sono l'angiografia e la scintigrafia cerebrale, il doppler transcranico e altre di minor efficacia. Ovviamente tutte queste tecniche che integrano l'esito dell'EEG hanno dei limiti intrinseci come qualsiasi tipo di strumentazione medica. E' dunque logico pensare all'introduzione di nuove tecniche. Tuttavia l'eliminazione di un eventuale errore diagnostico, impossibile dal punto di vista filosofico, è una necessità più teorica che pratica. Nasce dal bisogno di un eccesso di precauzione perchè la diagnosi di morte cerebrale è la definizione di un termine che è appunto la fine della vita di una persona. Nell'ambito dei trapianti d'organo, qual'ora una persona abbia precedente dichiarato la volontà di essere un donatore, dopo l'accertamento di morte cerebrale, viene trasferita in sala operatoria. Al suo corpo è garantita la continuazione della terapia di mantenimento della funzionalità degli organi affinchè essi siano utilizzabili per i trapianti. Diverso è il destino di un soggetto non donatore a cui viene sospeso ogni tipo di terapia. E' evidente che la definizione di morte dipende da quella del sistema nervoso. Storicamente una persona veniva considerata morta nel momento in cui aveva un arresto cardiocircolatorio. Il cuore era dunque l'organo indicatore della morte. Ma questo criterio palesava tutti i suoi limiti. Una persona rianimata dopo arresto cardiaco non si poteva di certo dire che aveva vissuto l'esperienza della morte. Inoltre dopo il trapianto di Barnard, l'espianto di un cuore battente poteva essere considerato un omicidio. Comunque sia non fu difficile definire nuovi criteri di morte perchè l'organo sede della mente, della coscienza e dell'anima era già considerato il cervello e non il cuore come pensava ad esempio Platone. Dire dunque che la definizione di morte cerebrale nasce da motivi etici non è proprio del tutto corretto perchè c'erano già esigenze scientifiche. Piuttosto si può prendere per vero che la definizione di morte cerebrale fu accettata perchè "conseguenza del processo tecnologico che ha dato alla medicina strumenti più affidabili per rilevare la perdita delle funzioni cerebrali". Allo stato attuale è accertato che la morte cerebrale è una condizione di non ritorno. Questo permette il distacco del respiratore e l'utilizzo del corpo per l'espianto degli organi. Ma una persona con il cervello morto e il corpo vivo può essere considerata morta? Forse qui siamo di fronte ad una questione filosofica, alle eterne domande di che cosa sia la vita e la morte. Di certo la medicina definisce dei limiti che innegabilmente hanno una loro utilità pratica. Si può dire per gli stessi motivi che anche la morte cardiaca un tempo aveva tutto il valore di una fine. Può darsi che nuove cure ci daranno la possibilità di rianimare un cervello con accertata assenza di flusso cerebrale. Si tratterà di spostare qualche paletto più in là e alla fine di porsi sempre le stesse domande senza risposta. Le certezze del giorno d'oggi si basano su una esperienza decennale. Fermarsi per il peso dei propri dubbi vorrebbe dire negare una cura a quelle migliaia di persone che purtroppo ogni anno sono in attesa di un trapianto. Che senso avrebbe definire la morte come la disintegrazione del corpo? Perchè è questa la definizione che danno coloro che si chiedono se la morte del cervello provoca appunto la disintegrazione del corpo. Domande che hanno il loro peso culturale se vengono scritte niente di meno che sull'Osservatore Romano. Penso che nessuno voglia arrivare a definire la morte come quel processo in cui ogni cellula di un corpo cessa di funzionare. Anzi, bisogna avere il coraggio di dire che se una donna cerebralmente morta viene mantenuta continuamente in cura affinchè possa portare a termine una gravidanza, è una sorta di incubatrice biologica. Perchè allora anche il cadavere già riposto nella tomba a cui crescono i baffi, nel suo piccolo avrebbe tutto il diritto di essere considerato un corpo vivo. Si obietta che la scienza non abbia ancora dimostrato che il cervello sia l'organo integratore del corpo. Basta toglierlo per vedere che cosa succede. E' qualcosa di insostituibile a differenza di praticamente qualsiasi altra parte del corpo umano. Altro che capire dove possa risiedere il cosiddetto principio vitale. Piuttosto il nostro cervello se non si relaziona con qualcosa che sia o un corpo o qualcosa che lo integri, si trasforma in una massa inerte gelatinosa. Alla fine un re per essere tale ha bisogno di avere i suoi sudditi. Da questo dipende un doveroso rispetto dell'intero corpo umano.
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