06 maggio 2008

NICOLA E GLI ALTRI


Nicola Tommasoli non è stato massacrato di botte perchè non aveva qualcosa, una sigaretta, ma perchè non era qualcuno. Non faceva parte di quel gruppo che alcuni preferiscono chiamare branco per indicarne una natura che non può essere umana. E' l'assoluta diffidenza per il diverso che spinge a considerare tutto quello che sta al di fuori del proprio ambito sociale e addirittura della propria ideologia, minaccioso e inutile. Ma Nicola di pericoloso non aveva di certo quello che si può attribuire ad un possibile delinquente. Non era sporco e non aveva quello sguardo ingenuamente furbo che si può cogliere in un gruppo di zingari. Era semplicemente un ragazzo che poteva essere preso di mira come un bersaglio contro il quale sparare tutte le proprie frustrazioni. Era pericoloso nel suo essere una persona in quel tragico momento apparentemente indifferente alle problematiche della vita. Quei cinque ragazzi che non hanno saputo trattenere la loro furia cieca, non possono tollerare che ci sia qualcuno diverso da loro, senza i loro stessi problemi, senza la loro stessa solitudine. C'è un abnorme senso di protezione che è stato fomentato in ogni modo nella cultura della società in cui viviamo.

Anche a causa di un eccessivo lassismo verso le problematiche sociali, verso quei comportamenti sbagliati che hanno indotto il diffondersi di un profondo disagio. Le colpe della politica risiedo anche nel fatto di aver creato facili illusioni in tutte quelle persone in cerca di futuro come gli extracomunitari e i giovani. Ma d'altro canto la stessa politica ha continuato a proporre soluzioni drastiche tanto inutili quanto lo può essere il richiudere una stalla dopo che i buoi sono scappati. In un clima di profonda incertezza, dove nessuno riesce più a capire quando si debba usare la carota o il bastone, il senso della giustizia può essere soltanto istintivo, profondamente animalesco. Chi sbaglia va punito subito, quasi sul posto attraverso una pena che sia esemplare e non minore del reato commesso, quindi che sia necessariamente almeno uguale. Chi uccide va logicamente ucciso. Chi modifica l'identità di un gruppo va preso a calci, va estirpato via come se fosse un tumore. E' la cultura della guerra preventiva che giustifica il male. Ma non si tiene conto del fatto che questo diventa soltanto un modo per creare un terreno ulteriormente fertile ad altrettanto male. Si educano i figli a preservare la propria identità e non ad evolvere come persone in tutta la loro umanità attraverso un maturo scambio culturale. Non c'è più quella politica dell'accoglienza e dell'unità che era fortemente presente in una società pedagogicamente cristiana come la nostra.

Personalmente ricordo che, quando frequentavo le scuole medie inferiori, la preside aveva colto l'occasione di un incontro per farci partecipe delle sue riflessioni sul caso di un ragazzo che aveva ucciso i propri genitori probabilmente per soldi. Sottolineava il fatto che fosse un ragazzo, come per dirci che poteva essere uno di noi. Egli vedeva i genitori come un freno alla propria crescita che considerava adeguata soltanto in proporzioni al denaro posseduto. E' l'apoteosi di un futuro che non può essere condiviso con gli altri, i genitori, dalla mentalità troppo diversa. Ma in questo modo questo ragazzo era diventato schiavo di se stesso, di una cosa futile come il denaro imprigionando la propria coscienza nell'inevitabile rimorso di un duplice omicidio. Fin tanto che non si capisce che la vera ricchezza è quella interiore e che può essere alimentata attraverso il confronto positivo con gli altri, cresceranno ragazzi fortemente individualistici. Oggi si insegna a farsi i cazzi propri e a veder l'altro come una minaccia. Ma d'altronde non ci si può aspettare nulla da dei padri che in barba agli errori del secolo scorso, preferiscono mettere al potere l'uomo della provvidenza nonostante un curriculum vitae da delinquente mai pentito.

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