08 maggio 2008

LA PRIGIONE


La prigione può essere il proprio corpo. Lo è stato per quell'imprenditore ridotto a larva dopo un attentato. Senza le gambe, senza le braccia, senza la vista, senza neanche più l'ipotesi di un sorriso per il volto sfigurato e soprattutto senza più nessuna coscienza. Essere ridotti in questo modo va al di là dei torti e delle ragioni che ognuno di noi si porta dietro. Se il proprio corpo diventa la prigione dalla quale non si può scappare, ogni pena è sempre un ergastolo da scontare senza sorta di grazia. Il corpo per tutti può diventare una camicia di forza. Anche noi nel nostro piccolo nell'ossessivo tentativo di raggiungere canoni estetici improbabili, ci incateniamo tra noi stessi isolandoci dal resto del mondo. Ma la prigione può essere anche la fossa che gli altri ci creano intorno. E' agghiacciante il recente caso di quella povera ragazza austriaca segregata in cantina per anni. E' stata vittima della freddezza di un mostro che ha voluto realizzare il proprio totale dominio sulla vita di una figlia e dei figli che ha poi da lei stessa avuto. Una tragedia la cui sceneggiatura sarebbe stata impensabile da qualsiasi regista di film horror. Eppure da questa prigionia, dove non filtrava mai la luce del sole, la vita emerge in tutto il suo intrinseco valore. Questa ragazza quando afferma che non vedendo il mostro per un mese pensava di morire, non fa altro che dire che finchè c'è vita, c'è speranza. Allora le porte della propria prigione che siano quelle date dal proprio corpo o dalla freddezza dei rapporti umani, possono sempre spalancarsi se c'è il semplice amorevole gesto di una mano tesa.

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