
Partecipando ad una serie di incontri formativi per educatori che professano nell'ambito dell'assistenza domiciliare e scolastica, sono emersi ancora una volta e in modo più evidente i limiti della generazione a cui io stesso appartengo. Il titolo del corso di formazione, svoltosi in quattro mattinate, era il seguente:"Mettersi in gioco: Affinare e consolidare le competenze professionali degli operatori in servizio mantenendo la creatività nell'applicazione dei principi psicopedagogici". Le prime due lezioni si sono svolte creando delle situazioni simili a quelle reali in cui gli stessi partecipanti dovevano mettersi appunto in gioco recitando. Attraverso lo strumento del teatro si è potuto riflettere sul che cosa voglia dire essere educatore. Sono emerse tutte le difficoltà di un ruolo che ha a che fare con situazioni particolari e difficili, dovute al confronto con la disabilità. Inoltre la figura stessa dell'educatore è risultata essere ancora poco considerata e svalutata soprattutto nell'ambito scolastico. Da qui è emersa la necessità di definire i passaggi e le strutture con le rispettive figure di riferimento, dentro il quale un educatore può svolgere la propria attività lavorativa. Se dunque una prima parte del corso di formazione è stata focalizzata sull'essere, la seconda ha delineato il campo nella quale agiscono gli educatori. E' come se definito l'essere, si sia poi pensato a quale struttura costruirgli intorno. Senza negare il bisogno che l'educatore ha di non essere lasciato troppo a se stesso nel ruolo che svolge, si possono fare delle considerazioni in merito all'eccessiva enfasi sulle tematiche strutturali che sono state seguite con sentita partecipazione. C'è un ansioso bisogno di essere tutelati, di avere figure sulla quale poter fare affidamento. Questa ricerca di protezione sembra sintomatica di una debolezza interiore propria di una generazione che più di altre ha visto rompersi qualsiasi tipo di schema sociale. Tra i giovani non si percepisce quello spirito libero che hanno tanto desiderato le generazioni precedenti. Sono giovani nati in cattività, come degli uccellini in gabbia. Hanno paura di andar oltre le loro protezioni e anzi, forse negano addirittura che ci possa essere uno spazio più aperto. Sono schiavi dei mezzi che hanno a disposizione.
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