
Al di là della liceità e del valore dell'uso degli animali nella ricerca medica e scientifica, nella sperimentazione di farmaci e a fini didattici, il mio rifiuto alla vivisezione nasce da una motivazione del tutto personale. Non mi riterrei assolutamente in grado di "commettere" qualsivoglia pratica sperimentale su delle specie animali. La mia particolare sensibilità emotiva mi bloccherebbe decisamente. Tuttavia pur facendo un'analisi dei costi e dei benefici, ovvero mettendo su un piatto della bilancia il dolore, il disagio e la morte provocata agli animali e sull'altro piatto l'acquisizione di nuove conoscenze e lo sviluppo di nuove terapie per gli esseri umani, è possibile giungere ad una motivazione di rifiuto con precise basi scientifiche. Tralasciando le condizioni etiche, il diniego si può basare su considerazioni pragmatiche. Per prima cosa bisogna tenere presente che non siamo di fronte ad un'unica metodica sperimentale: Studi epidemiologici, sperimentazioni cliniche, osservazioni cliniche sostenute da test di laboratorio, coltura in vitro di cellule e tessuti, studi autoptici, esami endoscopici e biopsie, metodi d?indagine per immagine, epidemiologia molecolare sono considerate metodiche addirittura migliori. Da segnalare a titolo d'esempio il particolare successo sulle malattie cardiovascolari attraverso studi epidemiologici che hanno permesso di evidenziare i principali fattori di rischio quali il colesterolo elevato, l'ipertensione e il fumo. Infatti appare decisamente inappropriato l'utilizzo degli animali come modello delle condizioni umane per le differenze sottili, ma significative che l'evoluzione ha determinato. Per quanto riguarda la farmacologia sappiamo che un farmaco può avere azione diversa, ad esempio tra uomo e ratto. Viene inattivato o reso tossico da strutture enzimatiche diverse che sono presenti a livello epatico. Questi enzimi sono legati molto spesso alla specie e il metabolismo epatico del ratto e dell'uomo non sono uguali. Inoltre molti enzimi epatici vengono influenzati dall'alimentazione e dall'ambiente. Bisogna tener presente che l'organismo umano ha una complessità superiore. Anche al suo interno esiste una complessa variabilità dei sistemi enzimatici. Ad esempio in alcune popolazioni c'è un'attività di acetilazione più rapida che porta all'inattivazione di alcuni farmaci, per cui per l'efficacia bisognerebbe conoscere il codice genetico personale.Ci sono dati precisi che fanno riflette. Pensiamo a quello che scrisse Lester Lave della Carnegie Mellon University sulla rivista scientifica "Nature". Su 219 sostanze provate su topi e ratti solo 70 davano risultati concordanti. Con l'uomo la correlazione dovrebbe essere addirittura più bassa. Il General Accounting Office statunitense ha detto che su 209 farmaci commerciati tra il 1976 e il 1985, il 52 per cento comportava gravi rischi dopo l'approvazione, non previsti con la sperimentazione sugli animali. Oppure David Salsburg della Pzifer Central Research disse che su 19 sostanze cancerogene per l'uomo, solo sette lo erano per i topi. Nessuna teoria dunque può essere approvata o respinta sulla base di analogie tra dei modelli tanto più dissimili come quelli tra gli animali e l'uomo.
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