13 luglio 2011

LA MIA DICHIARAZIONE ANTICIPATA DI TRATTAMENTO.

Non dico di pensarla come Socrate che considerava la comunicazione scritta come qualcosa che ingannava e illudeva. Ma il fatto che delle eventuali dichiarazioni anticipate di trattamento non siano vincolanti non mi fa storcere del tutto il naso. Mi chiedo se una posizione addottata in condizioni di buona salute possa essere la stessa in caso di malattia. I parametri valutativi sul significato del proprio essere al mondo spesso trovano nuova luce nel rapporto con gli altri. Al proprio capezzale ci sono sguardi che anche nel silenzio di uno stato vegetativo non possono essere ignorati. C’è un ruolo nella quale è difficile immedesimarsi, tanto più se si deve tener conto della sofferenza dei propri cari. Per cui qualsiasi dichiarazione scritta fatta in precedenza non può cogliere una volontà vissuta in un preciso momento. Ma come si può esprimere questa volontà nel pieno di un’ assoluta incapacità a comunicare? Forse tornando ad essere neonati. Il rapporto simbiotico con la propria madre viene nuovamente vissuto. Cambiano le prospettive tra chi deve essere accompagnato alla vita e chi al suo esito finale, ma non cambia il bisogno di un rapporto che diventa vincolante per qualsiasi tipo di evoluzione. Il nostro destino nasce con le decisioni degli altri. Essi sanno cogliere quell’altra parte di noi che ci sfugge. Conoscono il nostro vissuto. Possono interpretarci. Magari male e quindi sbagliando. Ma per lo meno rendendoci fino all’ultimo degli esseri umani. Perchè alla fine è soltanto in questo modo che si può preservare la propria dignità. Sarebbe infatti indegno per tutti essere ridotti al momento statico delle proprie ragioni scritte senza essere pensati a 360°, con tutta la ricchezza delle emozioni che ci costituiscono, come individui. Nessuno che richiede la morte dichiara mai di non voler più essere un uomo. Nessuno dichiara mai di non voler essere amato. E allora lasciamo pure decidere a quel rapporto d’amore che ci completa.

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