19 ottobre 2009

VIOLA DI MARE


Il film "Viola di mare" di Donatella Maiorca mi è sembrato un po' carente nella regia. L'ho trovata frammentata, con una narrazione che si è dimostrata essere discontinua. Questo ha portato a rendere carente il coinvolgimento emotivo nonostante la forza delle tematiche trattate. Ho invece trovato ottima l'interpretazione della protagonista. Completamente immedesimata, non ha avuto bisogno di eccessi interpretativi per dare forma al proprio ruolo. Meno positiva mi è sembrata invece l'interpretazione della coprotagonista. Sembrava come ferma su un palco in attesa di recitare la propria parte. Il contesto paesaggistico è a dir poco delizioso con quella chiesatta dalla porta di legno che si apre sul mare. Ci sono delle fotografie su quello scorcio di Sicilia di metà ottocento che sembrano avere la stessa ricchezza di un documentario. In questo c'è probabilmente il merito della regista che riesce a farci toccare la terra. C'è la cosidetta storia degli uomini minori tutta da guardare. Da segnalare anche il sovrapporsi dello sguardo della protagonista con un imagine precedente del proprio padre, premonitrice dell'evolversi dell'essere del personaggio. Una finezza artistica. La vicenda è tratta da un romanzo dal titolo alquanto esplicativo, "Minchia di re". Il riferimento è ad un pesce che a seconda delle necessità cambia il proprio sesso. La tematica dell'omosessualità, vissuta in senso femminile, è ovviamente il motivo portante di tutta la vicenda narrata. Ma limitarsi a leggere il film solo in chiave di denuncia per la libertà sessuale, sarebbe riduttivo. La protagonista subisce fin da piccola le angherie del padre che aveva sempre mal visto la nascita di una figlia femmina. Egli sembra essere tra l'altro una sorta di proto mafioso, per il ruolo che possiede. Non stupisce la sua reazione violenta alla scelta della figlia di voler amare una donna invece che un uomo. Ma poi sembra fermarsi. Consigliato dalla moglie sottomessa fino ad allora, che reagisce per salvare la propria figlia, decide di non optare per la soluzione più drastica che si prospettava essere addirittura una condanna a morte. La figlia potrà seguire la propria strada, ma per tutti dovrà essere un maschio, passare da Angela ad Angelo. Inizia così il vissuto di un desiderio che non potrà mai del tutto manifestarsi liberamente. Il paese dato il potere del padre, che da lavoro agli altri, è messo nelle condizioni di far finta di niente. C'è un rapporto che per il tempo di allora solo il diavolo potrebbe permettere. Ma non importa. La protagonista che si dichiara femmina, per poter amare la propria compagna deve nascondere quasi del tutto la propria femminilità. Ci si ritrova a guardare una società che vive di apparenze, rinnegando completamente la sostanza più profonda dell'animo umano, che è l'amore. La protagonista nell'accompagnare il padre sul luogo di lavoro si trasforma quasi in lui. Sei come tuo padre le dice un suo dipendente dopo che lei aveva simulato una tipica sfuriata paterna. C'è una cava che sembra aver esaurito la sua materia prima, un destino quasi inellutabile visto che per definizione deve essere svuotata. Così la protagonista a doversi fingere "masculo" arriva a perdere molto di se stessa. Ha dovuto negare la propria identità, riempiendosi di quella del padre che tanto violentemente aveva subito. L'epoca non era la nostra, ma ancora oggi si dice basta che non diano fastidio agli altri. Di fronte ad una libertà da soffocare con le apparenze ogni cosa perde di significato, fino ad omologarsi con quello che offre il contesto in cui si vive.

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