12 giugno 2009

LA GIUSTIA DI PLATONE AL NOSTRO STATO


Si ha la sensazione che alcune volte non sia vista di buon occhio la caduta di un personaggio di spicco dal proprio ruolo. E' come se certe posizioni fossero giustificate da una sorta di diritto naturale. In questi termini si potrebbe anche pensare che la nostra società sia divisa rigidamente in caste. In realtà nell'acquisizione di una determinata posizione subentra come fattore distintivo, rispetto ad una società puramente castale, quella del merito. Dunque viene percepita come ingiusta l'azione volta a spodestare da un determinato ruolo una persona significativamente inserita in un certo contesto. Anzi, molto spesso i meriti assunti nello svolgere la propria funzione giustificano qualsiasi peccato. Verso di essi nessuna condanna viene vissuta dall'opinione pubblica come giusta se determina un forte impedimento alla meritevole attività del condannato. In questo senso il merito è sempre da intendere in funzione del fine ottenuto. Cioè il giudizio morale sul merito è superfluo. Insomma al giorno d'oggi permane una concezione di giustizia propria delle teorizzazioni di Platone che la definiva come il mantenimento della stabilità collettiva. In uno Stato conservatore è naturale che queste idee permeano il comune sentire. Questo va a discapito dell'intendere la giustizia come "un certo genere di equità nel trattamento degli individui". Ebbene pur non essendo messa razionalmente in dubbio questa definizione, c'è l'idea che il bene di una "casta" o dello stesso Stato sia la sua stabilità. Quindi è giusto che ognuno stia al suo posto.

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