07 agosto 2011
SUICIDI
Ieri sera ho voluto rivedere Elephant. E' un capolavoro cinematografico, non a caso premiato al festival di Cannes, che narra una tragica vicenda avvenuta alla fine del secolo scorso in un college americano. Studenti della Columbine High School, Eric Harris e Dylan Klebold decido di far irruzione armati a scuola dopo aver progettato di compiere un massacro. Ed è ciò che alla fine riescono a fare. Il film mette in luce una dimensione del tutto desolante, dove normalità e tragedia si annichiliscono. L'uccisione di un proprio coetaneo per Eric e Dylan è emotivamente paragonabile a quella che può avvenire durante un video gioco. In tutto questo il loro suicidio diventa quasi scontato, da copione. Nei momenti di attesa, mentre fuori la scuola era asserragliata dalle forze speciali, non ci sarà stato nessun senso di rimorso da parte dei due ragazzi. Quello che hanno fatto aveva solo il senso di caricare una partita, rendersi protagonisti, giocare e infine spegnere l'interruttore. Il loro suicidio è insomma stato un immancabile game over in una vita piatta, nel loro caso emotivamente, come lo schermo di un computer. La mia intenzione era ovviamente quella di trovare delle correlazioni con l'ultima tragica vicenda avvenuta in Norvegia. Mi sembrano situazioni del tutto distanti tra loro pur se accomunate nella tragedia. In particolare è diverso il destino degli artefici. Anders Behring Breivik non si suicida. Non sarebbe stato coerente con la sua folle missione. Nella sua psicotica visione di un mondo da salvare e preservare lui ne rappresenta il modello integrale. Per questo egli si vede come un eroe che deve poter ancora dare il suo contributo, stare in prima linea e sconfiggere il nemico e chi lo asseconda. Il martirio avrebbe lasciato solo un posto libero al prossimo invasore.
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